Circolare I.N.P.S. del 06 Dicembre 2010, n.13

Circolare Dipartimento Funzione Pubblica Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni – Servizio Trattamento Personale

Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza alle persone con disabilità – banca dati informatica presso il Dipartimento della funzione pubblica – legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 24.

1. Premessa

Sulla Gazzetta ufficiale del 9 novembre 2010, n. 262, è stata pubblicata la legge 4 novembre 2010, n. 183, recante “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.”. La legge entra in vigore il 24 novembre 2010.

L’art. 24 della nuova legge riguarda le “Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità “. La disposizione innova parzialmente il regime dei permessi per l’assistenza ai soggetti disabili contenuto nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, e nel decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. La norma inoltre prevede l’istituzione e la gestione di una banca dati informatica per la raccolta e la gestione dei dati relativi alla fruizione dei permessi a fini di monitoraggio e controllo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica. Rimane invariato il regime dei permessi, del trasferimento e della tutela della sede per i lavoratori con disabilità che fruiscono delle agevolazioni per le esigenze della propria persona.

La presente circolare è stata elaborata a seguito di un lavoro istruttorio di confronto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le altre amministrazioni istituzionalmente interessate dalla materia, con l’obiettivo di fornire indicazioni di carattere generale omogenee per il settore del lavoro pubblico e privato. La finalità della presente circolare è quella di rendere degli orientamenti per l’interpretazione e l’applicazione della nuova normativa, ferme restando le autonome determinazioni di ciascuna amministrazione nell’esercizio del proprio potere organizzativo e gestionale. Rimane fermo quanto già illustrato dal Dipartimento della funzione pubblica nella Circolare n. 8 del 2008, par. 2.2 e 2.3, a proposito dell’utilizzo frazionato dei permessi.

Prima di affrontare nel merito le questioni, si ritiene necessario compiere una precisazione di tipo terminologico. Come noto, il dibattito circa la terminologia da utilizzare per indicare le persone con disabilità è stato ampio ed è ancora vivace. Lo spirito che anima il dibattito è quello di evitare espressioni o definizioni che possano recare insitamente un’idea di disvalore, promuovendo invece l’uso di termini e concetti che consentano di mettere in risalto il valore derivante dalla diversità. A livello internazionale, è ormai diffuso il concetto di “persona con disabilità”, che viene utilizzato nella Convenzione delle Nazioni unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18. Ad oggi, dovendo trattare la materia, la soluzione migliore sarebbe quella di attenersi alle scelte compiute in sede internazionale, con la conseguenza che, anche nell’esame della disciplina contenuta nella l. n. 104 del 1992, che è la legge italiana fondamentale in materia (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), dovrebbe farsi riferimento esclusivamente al concetto di persona con disabilità. Tuttavia, ragioni di chiarezza inducono a seguire nello specifico una strada diversa che, nel rispetto del testo legislativo, utilizza la diversa espressione di “persona in situazione di handicap”. Benché questa espressione possa ormai risultare inadeguata alla luce di quanto sopra detto, essa è ancora presente nel testo della menzionata l. n. 104 e serve ad indicare con chiarezza la situazione dei disabili nei confronti dei quali sono stati effettuati gli accertamenti ai sensi dell’art. 4 della legge stessa (Accertamento dell’handicap). Tali accertamenti, dai quali può emergere anche una connotazione di gravità dell’handicap quando ricorrono le condizioni di cui all’art. 3, comma 3 (ovvero “qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione” della persona), rappresentano il presupposto per la fruizione di varie agevolazioni previste nella legge stessa; la situazione certificata di handicap grave costituisce in particolare il presupposto per la fruizione dei permessi previsti nell’art. 33.

Si segnala pertanto che, per maggior precisione e semplicità di esposizione, nella presente circolare e nelle eventuali successive note interpretative verrà mantenuto il riferimento all’espressione “persona in situazione di handicap” e “persona in situazione di handicap grave” pur nella consapevolezza del carattere inadeguato di queste espressioni rispetto all’evoluzione della normativa internazionale e del costume sociale.

Di seguito si procede quindi ad illustrare le novità apportate dall’art. 24 della l. n. 183, che sostanzialmente consistono nella restrizione dei soggetti legittimati a fruire dei permessi per assistere persone in situazione di handicap grave, nell’eliminazione dei requisiti della convivenza e della continuità ed esclusività dell’assistenza prestata dal lavoratore, nella ridisciplina del diritto al trasferimento, nella previsione della decadenza nel caso di insussistenza dei requisiti per la fruizione delle agevolazioni e nell’istituzione della banca dati presso il Dipartimento della funzione pubblica

2. Ridefinizione dei lavoratori legittimati a fruire dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 per assistere persone in situazione di handicap grave.

La principale novità della legge riguarda la materia dei soggetti legittimati a fruire dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave. In proposito, il comma 1, let. a), dell’art. 24 sostituisce il testo dell’art. 33, comma 3, della l. n. 104 e il comma 2 del medesimo articolo sostituisce il comma 2 dell’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 e ne abroga il comma 3.

Il nuovo testo del comma 3 dell’art. 33 citato prevede: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.”

Secondo la norma, in linea generale, la legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave spetta al coniuge e ai parenti ed affini entro il secondo grado. Rispetto alla normativa previgente, la nuova disposizione da un lato ha menzionato espressamente il coniuge tra i lavoratori titolari della prerogativa, dall’altro ha posto la limitazione dei parenti ed affini entro il secondo grado.

Data la regola generale, la legge ha però previsto un’eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti. In queste ipotesi, stimando eccessivamente onerosa o impossibile l’opera di assistenza a causa dell’età non più giovane o della patologia del famigliare, la legge prevede la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado.

Pertanto, la novità più rilevante rispetto al regime previgente è rappresentata dalla restrizione della categoria di famigliari che possono fruire dei permessi, poiché con la nuova norma si passa dal terzo al secondo grado di parentela, salvo la ricorrenza delle situazioni eccezionali dell’assenza, dell’età anagrafica o delle patologie.

Per comodità, si rammenta che il rapporto di parentela e quello di affinità sono definiti dal codice civile (art. 74 c.c.: “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”; art. 78 c.c.: “L’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge”). In base alla legge, sono parenti di primo grado: genitori, figli; sono parenti di secondo grado: nonni, fratelli, sorelle, nipoti (figli dei figli); sono parenti di terzo grado: bisnonni, zii, nipoti (figli di fratelli e/o sorelle), pronipoti in linea retta. Sono affini di primo grado: suocero/a, nuora, genero; sono affini di secondo grado: cognati; sono affini di terzo grado: zii acquisiti, nipoti acquisiti.

La legge non ha definito la nozione di “patologie invalidanti”. In mancanza di un’espressa scelta sul punto, sentito il Ministero della salute, un utile punto di riferimento per l’individuazione di queste patologie è rappresentato dall’art. 2, comma 1, let. d), del decreto interministeriale – Ministero per la solidarietà sociale, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Ministero per le pari opportunità 21 luglio 2000, n. 278 (Regolamento recante disposizioni di attuazione dell’articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari), che disciplina le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all’art. 4, comma 2, della l. n. 53 del 2000. In particolare, si tratta delle: “1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario;”.

In presenza di queste situazioni, che naturalmente debbono essere tutte documentate, la legge consente di allargare la cerchia dei famigliari legittimati a fruire dei permessi ex art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992, stimando a priori che i soggetti affetti dalle patologie in esame non siano in grado di prestare un’assistenza adeguata alla persona in situazione di handicap grave. Pertanto, nel caso in cui il coniuge o i genitori della persona in situazione di handicap grave siano affetti dalle patologie rientranti in questo elenco, l’assistenza potrà essere prestata anche da parenti o affini entro il terzo grado.

Come detto, si può passare dal secondo al terzo grado di parentela anche nel caso di decesso o assenza del coniuge o del genitore della persona in situazione di handicap grave. Ai fini della disciplina in esame, si ritiene corretto ricondurre al concetto di assenza, oltre alle situazioni di assenza naturale e giuridica in senso stretto (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), le situazioni giuridiche ad esse assimilabili, che abbiano carattere stabile e certo, quali il divorzio, la separazione legale e l’abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità.

E’ opportuno evidenziare che la possibilità di passare dal secondo al terzo grado di assistenza si verifica anche nel caso in cui uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle descritte situazioni (assenza, decesso, patologie invalidanti), poiché nella disposizione normativa è utilizzata la congiunzione disgiuntiva (“qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”

3. Individuazione di un referente unico per l’assistenza alla stessa persona in situazione di handicap grave.

Come anticipato, l’ art. 24 della legge, nell’innovare la disciplina sulla legittimazione a fruire i permessi, non ha menzionato i requisiti della continuità e dell’esclusività dell’assistenza che quindi non sono più esplicitamente previsti dalle disposizioni in materia. La legge ha però espressamente stabilito che il diritto alla fruizione dei permessi “non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità.”. Con tale prescrizione è stato perciò ripreso in parte e tipizzato il concetto di esclusività dell’assistenza, limitandolo alla regola secondo cui i permessi possono essere accordati ad un unico lavoratore per l’assistenza alla stessa persona. In base alla legge, quindi, viene individuato un unico referente per ciascun disabile, trattandosi del soggetto che assume “il ruolo e la connessa responsabilità di porsi quale punto di riferimento della gestione generale dell’intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell’assistito.”(così il Consiglio di Stato, nel parere n. 5078 del 2008).

Considerato che sulla questione sono stati ricevuti numerosi quesiti, è opportuno segnalare che le nuove norme non precludono espressamente la possibilità per lo stesso dipendente di assistere più persone in situazione di handicap grave, con la conseguenza che, ove ne ricorrano tutte le condizioni, il medesimo lavoratore potrà fruire di permessi anche in maniera cumulativa per prestare assistenza a più persone disabili. Con l’entrata in vigore della nuova disciplina, si deve ormai ritenere superato il parere n. 13 del 2008 di questo Ufficio (nota n. 8474 del 18 febbraio 2008), pubblicato sul sito del Dipartimento della funzione pubblica.

Analogamente, le nuove norme non precludono espressamente ad un lavoratore in situazione di handicap grave di assistere altro soggetto che si trovi nella stessa condizione e, pertanto, in presenza dei presupposti di legge, tale lavoratore potrà fruire dei permessi per se stesso e per il famigliare disabile che assiste.

E’ chiaro che una tutela più adeguata nei confronti del disabile è realizzabile, almeno in astratto, quando questi può contare sull’opera di assistenza di una persona che si dedichi alle sue cure in maniera esclusiva; infatti, un’attività prestata nei confronti di più famigliari può risultare non soddisfacente. E’ evidente inoltre che la fruizione di permessi in maniera cumulativa in capo allo stesso lavoratore crea notevole disagio all’attività amministrativa per la possibilità di assenze frequenti e protratte del lavoratore stesso. Questi aspetti dovrebbero essere ben valutati dal dipendente che intende chiedere la fruizione dei permessi cumulativamente, limitando la domanda alle situazioni in cui da un lato non vi sono altri famigliari in grado di prestare assistenza, dall’altro non è possibile soddisfare le esigenze di assistenza nel limite dei tre giorni mensili. La sussistenza di tali presupposti, che il dipendente ha l’onere di dichiarare all’atto della presentazione della domanda, non può che essere rimessa alla valutazione esclusiva e al senso di responsabilità del lavoratore interessato, considerato il loro carattere assolutamente relativo e la difficoltà di un eventuale accertamento.

4. La posizione dei genitori che assistono un figlio in situazione di handicap grave.

La nuova legge ha dato rilevanza alla specialità del rapporto genitoriale. Particolari norme sono infatti dettate per i genitori che assistono un figlio in situazione di handicap grave. Tali norme sono contenute nel testo novellato dell’art. 33 della l. n. 104 del 1992 e nell’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001.

L’assistenza nei confronti del figlio disabile gode di un regime più flessibile e le norme specifiche derogano al “regime del referente unico” che è stato illustrato nel paragrafo precedente. Infatti, secondo quanto previsto dal nuovo comma 3 dell’art. 33, l’assistenza può essere prestata alternativamente da entrambi i genitori (Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.). Pertanto, fermo restando il limite complessivo dei tre giorni mensili, i permessi giornalieri possono essere utilizzati dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre per l’assistenza al medesimo figlio. Si segnala peraltro che, in base alla nuova disciplina, i permessi giornalieri possono essere fruiti anche dai genitori di un minore di tre anni in situazione di handicap grave. Infatti, da un lato, la novella ha soppresso dal testo della previgente disposizione (comma 3 dell’art. 33 della l. n. 104 del 1992) le parole “successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino”, dall’altro i genitori sono comunque compresi nella categoria dei parenti legittimati in base al primo periodo del comma in esame, cosicché non sarebbe giustificato un trattamento deteriore o meno favorevole dei genitori del minore di tre anni rispetto al resto dei parenti o affini. Ciò significa che, in un’ottica di ragionevolezza costituzionalmente orientata, la portata dell’art. 33, comma 3, della legge prevale rispetto alla previsione dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001 come novellato.

La possibilità per i genitori di minore di tre anni disabile di prendere i permessi ai sensi dell’art. 33 si aggiunge alle altre prerogative previste nel d.lgs. n. 151 del 2001. Quindi, resta fermo il diritto dei genitori del minore di tre anni in situazione di handicap grave di fruire, in alternativa ai permessi giornalieri mensili, del prolungamento del congedo parentale o dei riposi orari retribuiti di cui all’art. 42 del menzionato decreto.

È opportuno segnalare che, trattandosi di istituti speciali rispondenti alle medesime finalità di assistenza del figlio disabile, la loro fruizione deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese, cosicché nel mese in cui uno dei due genitori abbia fruito di uno o più giorni di permesso ai sensi dell’art. 33, comma 3, entrambi i genitori non potranno beneficiare per lo stesso figlio neppure delle due ore di riposo giornaliero, del prolungamento del congedo parentale e del congedo di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 e viceversa. Infatti, l’art. 42, comma 4, del d.lgs. n. 151 del 2001, richiamando l’art. 33, comma 4, della l. n. 104 del 1992 esprime la regola della cumulabilità dei riposi e permessi con il congedo parentale ordinario e il congedo per la malattia del figlio, escludendo a contrario la cumulabilità tra di loro degli istituti “speciali”, che sono disegnati come alternativi (ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 151 citato, le due ore di permesso al giorno possono essere fruite in alternativa al prolungamento del congedo parentale di cui al comma 1 dell’art. 33 del medesimo decreto). Inoltre, il comma 5 dell’art. 42 sul congedo indennizzato prevede espressamente che durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 151 (prolungamento del congedo parentale), né di quelli di cui ai commi 2 (due ore di permesso al giorno) e 3 dell’art. 33 della l. n. 104 (permessi giornalieri).

Alle agevolazioni previste per i genitori dal nuovo comma 3 dell’art. 33 si aggiunge poi la possibilità di fruire dei permessi anche per i parenti e gli affini di cui alla medesima disposizione, naturalmente sempre nel limite dei tre giorni e in alternativa ai genitori.

5. I presupposti oggettivi per il riconoscimento dei permessi:

a) la persona in situazione di handicap grave non deve essere ricoverata a tempo pieno.

Anche a seguito della novella, la legge ha mantenuto il presupposto oggettivo consistente nella circostanza che il disabile da assistere non sia ricoverato a tempo pieno. Si conferma quindi l’interpretazione già fornita sotto il vigore della precedente normativa ribadendo che per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore. Si chiarisce inoltre che il ricovero rilevante ai fini della norma è quello che avviene presso le strutture ospedaliere o comunque le strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria. In linea con orientamenti applicativi già emersi anche per il lavoro nel settore privato, si precisa che fanno eccezione a tale presupposto le seguenti circostanze:

– interruzione del ricovero per necessità del disabile di recarsi fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite o terapie;

– ricovero a tempo pieno di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale;

– ricovero a tempo pieno di un minore in situazione di handicap grave per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un famigliare.

La ricorrenza delle situazioni eccezionali di cui sopra dovrà naturalmente risultare da idonea documentazione medica che l’amministrazione è tenuta a valutare.

b) l’eliminazione dei requisiti della convivenza, della continuità ed esclusività dell’assistenza.

L’art. 24, comma 2, let. b), della l. n. 183 interviene sull’articolo 20, comma 1, della l. n. 53 del 2000, eliminando le parole da “nonché” fino a “non convivente”. A seguito di tale intervento, i requisiti della “continuità” e dell’ “esclusività” dell’assistenza non sono più menzionati espressamente quali presupposti necessari ai fini della fruizione dei permessi in argomento da parte dei beneficiari. Inoltre, nella riformulazione dell’art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 non è più presente il requisito della “convivenza”, che era necessario per la fruizione dei permessi prima dell’entrata in vigore dell’ art. 20 della l. n. 53 del 2000. Analogamente, la legge ha abrogato l’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, il quale prevedeva che i permessi dei genitori di figlio in situazione di handicap grave maggiore di età potessero essere fruiti a condizione che sussistesse convivenza o che l’assistenza fosse continuativa ed esclusiva.

6. Le prerogative relative alla sede di servizio

L’art. 24, comma 1, let. b), della l. n. 183 ha novellato il comma 5 dell’art. 33. La nuova disposizione stabilisce: “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”. Con la modifica è stato previsto opportunamente che l’avvicinamento che si può ottenere mediante il trasferimento non è verso il domicilio del lavoratore che presta assistenza quanto piuttosto verso il domicilio della persona da assistere. La novella ha eliminato un’incongruenza che era presente nel testo della legge previgente. Il trasferimento e la tutela della sede di lavoro, pertanto, rappresentano uno strumento per la più agevole assistenza del disabile. E’ opportuno segnalare che la norma, rispondendo all’esigenza di tutela del disabile, accorda al lavoratore un diritto, che può essere mitigato solo in presenza di circostanze oggettive impeditive, come ad esempio la mancanza di posto corrispondente nella dotazione organica di sede, mentre non può essere subordinato a valutazioni discrezionali o di opportunità dell’amministrazione.

7. Oneri del dipendente interessato alla fruizione delle agevolazioni

Il dipendente interessato ha l’onere di presentare apposita istanza per la fruizione delle agevolazioni previste dalla legge e di dimostrare la sussistenza dei presupposti di legittimazione attraverso la produzione di idonea documentazione.

In particolare, il dipendente è tenuto a presentare il verbale della commissione medica dal quale risulti l’accertamento della situazione di handicap grave, nonché, se del caso, il certificato medico dal quale risulti la patologia invalidante di cui all’art. 33, comma 3, della l. n. 104 e la documentazione medica menzionata al precedente paragrafo 5, let. a). Inoltre, l’interessato è tenuto a certificare, attraverso idonea documentazione ovvero attraverso apposite dichiarazioni sostitutive, rese ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”), la sussistenza delle condizioni che legittimano la fruizione delle agevolazioni. In proposito, si rammenta che, secondo quanto previsto nell’art. 76 del predetto d.P.R. “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.”.

Inoltre, a corredo dell’istanza, l’interessato deve presentare dichiarazione sottoscritta di responsabilità e consapevolezza dalla quale risulti che:

– il dipendente presta assistenza nei confronti del disabile per il quale sono chieste le agevolazioni ovvero il dipendente necessita delle agevolazioni per le necessità legate alla propria situazione di disabilità;

– il dipendente è consapevole che le agevolazioni sono uno strumento di assistenza del disabile e, pertanto, il riconoscimento delle agevolazioni stesse comporta la conferma dell’impegno – morale oltre che giuridico – a prestare effettivamente la propria opera di assistenza;

– il dipendente è consapevole che la possibilità di fruire delle agevolazioni comporta un onere per l’amministrazione e un impegno di spesa pubblica che lo Stato e la collettività sopportano solo per l’effettiva tutela dei disabile;

– il dipendente si impegna a comunicare tempestivamente ogni variazione della situazione di fatto e di diritto da cui consegua la perdita della legittimazione alle agevolazioni.

A seguito dell’accoglimento della domanda da parte dell’amministrazione, il dipendente dovrà comunicare tempestivamente il mutamento o la cessazione della situazione di fatto e di diritto che comporta il venir meno della titolarità dei benefici e dovrà aggiornare la documentazione prodotta a supporto dell’istanza quando ciò si renda necessario, anche a seguito di richiesta dell’amministrazione.

Ancora una volta, è utile richiamare le previsioni del citato Testo unico secondo cui “L’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. ” (art. 76, comma 2, d.P.R. n. 445 del 2000).

Si rammentano anche in questa sede, le norme contenute nell’art. 55 quater, comma 1, lett. a), che nell’ipotesi di giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa prevede la comminazione del licenziamento, e nell’art. 55 quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che, per la stessa ipotesi, prevedono la reclusione e la multa, oltre all’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale e del danno all’immagine subiti dall’amministrazione.

Salvo dimostrate situazioni di urgenza, per la fruizione dei permessi, l’interessato dovrà comunicare al dirigente competente le assenze dal servizio con congruo anticipo, se possibile con riferimento all’intero arco temporale del mese, al fine di consentire la migliore organizzazione dell’attività amministrativa.

8. Doveri dell’amministrazione

L’amministrazione che riceve l’istanza di fruizione delle agevolazioni da parte del dipendente interessato deve verificare l’adeguatezza e correttezza della documentazione presentata, chiedendone, se del caso, l’integrazione.

I provvedimenti di accoglimento dovranno essere periodicamente monitorati al fine di ottenere l’aggiornamento della documentazione e verificare l’attualità delle dichiarazioni sostitutive prodotte a supporto dell’istanza. Si richiama in particolare l’attenzione sulla necessità di chiedere il nuovo verbale medico nel caso di accertamento di handicap grave rivedibile.

L’amministrazione procederà alla verifica delle dichiarazioni sostitutive secondo le consuete modalità (artt. 71 e 72 del d.P.R. n. 445 del 2000) attraverso i propri servizi ispettivi, costituiti in osservanza dell’art. 1, comma 62, della l. n. 662 del 1996, o comunque su disposizioni impartite dall’ufficio preposto alla gestione del personale. La verifica dovrà essere svolta periodicamente, anche a campione. Nel caso in cui dall’accertamento risultasse l’insussistenza dei presupposti per la legittima fruizione dei permessi, l’amministrazione provvederà a revocare i benefici per effetto della decadenza.

Naturalmente, ove nell’ambito o a seguito degli accertamenti emergessero gli estremi di una responsabilità disciplinare del dipendente, l’amministrazione procederà alla tempestiva contestazione degli addebiti per lo svolgimento del relativo procedimento e, se del caso, alla comunicazione alle autorità competenti delle ipotesi di reato. Oltre a richiamare di nuovo le previsioni dell’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 sulle dichiarazioni mendaci, la formazione e l’uso di atti falsi, si ricordano ancora in questa sede le già citate norme contenute nell’art. 55 quater, comma 1, let. a), e nell’art. 55 quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Si rammenta che l’avvio e l’esito dei procedimenti disciplinari debbono essere comunicati all’Ispettorato per la funzione pubblica come richiesto dalla Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione del 6 dicembre 2007, n. 8.

L’amministrazione, sotto altro aspetto, dovrà effettuare le comunicazioni dei permessi fruiti dai propri dipendenti per l’inserimento nella banca dati istituita presso il Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’art. 24, commi da 4 a 6, della l. n. 183 del 2010.

In fase di prima applicazione, ogni amministrazione dovrà procedere a riesaminare i provvedimenti di assenso già adottati al fine di verificare la sussistenza delle condizioni previste dalla nuova legge. In caso di insussistenza dei requisiti, salvo tempestiva integrazione della documentazione prodotta in passato da parte dell’interessato, l’atto di assenso dovrà essere revocato e le agevolazioni non potranno essere più accordate per effetto della decadenza. Naturalmente, il dipendente che si trovi nella condizione di poter fruire dei permessi a diverso titolo in base alla nuova legge avrà l’onere di produrre una nuova istanza accompagnata dalla documentazione di supporto

9. La decadenza conseguente all’accertamento dell’insussistenza o del venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei diritti

L’art. 24, comma 1, let. c), introduce un nuovo comma, il 7 bis, nel corpo dell’art. 33 della l. n. 104 del 1992. La disposizione stabilisce che “Ferma restando la verifica dei presupposti per l’accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l’INPS accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti.”. Con la novella è stato reso esplicito che poiché le prerogative spettano solo a coloro che sono legittimati in base alla legge, in assenza dei presupposti legali, viene meno la possibilità di fruizione delle agevolazioni. L’accertamento circa l’insussistenza dei requisiti spetta al datore di lavoro, privato o pubblica amministrazione, e all’INPS per il settore del lavoro privato.

Al di là del dato letterale, che fa riferimento solo al lavoratore di cui al comma 3 (cioè al lavoratore che fruisce dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave) e ai diritti del presente articolo, è chiaro che la regola espressa dalla disposizione ha una portata più ampia, non potendo non riguardare tutte le ipotesi in cui il soggetto apparentemente legittimato alle agevolazioni in realtà non è in possesso dei requisiti legali per la loro legittima fruizione. Infatti, la decadenza, ovvero la perdita della possibilità di continuare ad usufruire dei permessi, rappresenta l’effetto naturale dell’insussistenza dei presupposti per la legittimazione all’istituto e, come tale, essa è prevista nel menzionato Testo unico in materia di documentazione amministrativa a proposito delle dichiarazioni sostitutive non veritiere (l’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 stabilisce che “qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.”). Quindi, a titolo di esempio, si può verificare la decadenza anche in capo al lavoratore in situazione di handicap grave che prende i permessi per le proprie esigenze o in capo al genitore che fruisce delle due ore di permesso al giorno ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001.

A titolo di esempio, tra le situazioni che possono dar luogo alla decadenza si menzionano: il venir meno della situazione di handicap grave a seguito della visita di revisione, il decesso della persona in situazione di handicap grave, il sopravvenuto ricovero a tempo pieno del disabile, la circostanza che due lavoratori prendono permessi per assistere la medesima persona in situazione di handicap grave.A titolo di esempio, tra le situazioni che possono dar luogo alla decadenza si menzionano: il venir meno della situazione di handicap grave a seguito della visita di revisione, il decesso della persona in situazione di handicap grave, il sopravvenuto ricovero a tempo pieno del disabile, la circostanza che due lavoratori prendono permessi per assistere la medesima persona in situazione di handicap grave.

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