Cass. civ. Sez. lavoro, 09-12-2016, n. 25268
In materia di invalidità civile, l’art. 42, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., dalla l. n. 326 del 2003, nella parte in cui esclude l’applicazione delle disposizioni in materia di ricorso amministrativo, a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso d.l. (poi differita al 31 dicembre 2004 in forza dell’art. 23, comma 2, del d.l. n. 355 del 2003, conv., con modif., dalla l. n. 47 del 2004), si riferisce ai ricorsi amministrativi precedentemente previsti sia contro i provvedimenti di mancato riconoscimento dei requisiti sanitari, sia contro quelli di rigetto o revoca dei benefici economici attinenti a requisiti non sanitari, quali quelli cd. socio-economici, sicché, il termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziaria, previsto dalla seconda parte dello stesso comma, opera sia con riguardo all’ipotesi in cui il diniego in sede amministrativa siam conseguente a ragioni sanitarie sia nell’ipotesi in cui il diniego dipenda da ragioni diverse, sempre che il provvedimento di rigetto sia esplicito e venga comunicato all’interessato.
Dunque il termine semestrale di decadenza, previsto dall’art. 42, 3° comma, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, entro cui va proposta la domanda giudiziale, in caso di rigetto della domanda amministrativa di prestazione assistenziale di invalidità civile, è applicabile a qualsiasi ipotesi di rigetto, anche se non motivato da ragioni sanitarie.
Cass. civ. Sez. lavoro, 06-12-2016, n. 24982 (rv. 641985-01)
L’equiparazione dell’indennità di accompagnamento goduta dai ciechi civili assoluti a quella prevista per i grandi invalidi di guerra investe esclusivamente la misura dell’indennità stessa e le relative modalità di adeguamento automatico, e non comporta l’estensione ai primi dell’intero complesso delle misure di assistenza predisposte a favore dei secondi, sicché va escluso il diritto ad una equiparazione all’assegno di superinvalidità per i ciechi di guerra, di cui all’art. 1, ed all. 1, della l. n. 422 del 1990 – che richiama, quanto alla determinazione della misura di tale prestazione, l’art. 3, comma 2, della l. n. 656 del 1986 – senza che tale differenziazione realizzi una ingiustificata disparità di trattamento, in considerazione della diversità dei presupposti che sono alla base del fatto invalidante, scaturente, in quest’ultimo caso, da eventi bellici, che comportano anche un elemento risarcitorio, estraneo all’ipotesi della invalidità civile.
Cass. civ. Sez. VI Ordinanza, 24-11-2016, n. 24094 (rv. 642271-01)
In materia di assegno d’invalidità civile, ove si consolidi il giudicato sull’esistenza di tutti i presupposti di legge e permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti, la situazione già accertata non può essere rimessa in discussione, sicché, in caso di controversia sulla legittimità di una successiva revoca della prestazione, occorre procedere esclusivamente al raffronto tra la situazione esistente all’epoca del precedente accertamento giudiziale e quella ricorrente al momento della suddetta revoca, per verificare se vi sia stato un effettivo miglioramento nello stato di salute dell’assistito, o comunque un recupero della sua capacità di guadagno, restando irrilevante il mutamento della normativa sopravvenuto al giudicato.
Corte cost. Ordinanza, 15-07-2016, n. 181
E’ manifestamente inammissibile, perché divenuta priva di oggetto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, impugnato – in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 38 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione medesima – nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennità di comunicazione prevista in favore dei sordomuti dall’art. 4, comma 1, della legge n. 508 del 1988. La disposizione impugnata, infatti, è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima in parte qua con la sentenza n. 230 del 2015, successiva all’ordinanza di rimessione.